FILIPPINE

PHOTO DIARY

Marzo 2010, Manila, Filippine

Se ti piace la confusione, e non vedi l’ora di provare il brivido di venire scaraventato nel cuore di una vera e propria giungla urbana, sono convinto che camminare tra le strade di Manila sia un’esperienza che tu debba assolutamente provare.
Da queste parti infatti l’immagine che rende maggiormente l’idea è senza ombra di dubbio il puro e semplice caos.

In generale le filosofie asiatiche mi hanno insegnato ad affrontare la vita con la calma che permette di godere giorno per giorno delle piccole cose, evitando di farsi coinvolgere dalla frenesia e dalla fretta che spesso la avvelenano e la rendono stressante.
Ed in effetti le mie esperienze lavorative mi hanno dimostrato che i filippini generalmente vivono con calma e con il sorriso stampato sul volto, e che la propensione positiva alle dinamiche quotidiane permette loro di affrontare i problemi e le difficoltà con questo tipo di approccio rilassato e spensierato.
Sono un popolo vivace e sempre in vena di cantare, celebrare eventi e fare festa. Adorano riunirsi organizzando karaoke, amano il reggae e le canzoni rock melodiche un po’ romantiche e sdolcinate. Sono molto comunicativi, e combinano un linguaggio non verbale fatto di sguardi e gesti curiosi con un’inglese di base piuttosto fluente fatto di conversazioni semplici ma molto dirette.
Il divertimento fa parte del loro DNA, tanto che lo slogan dell’ente del turismo della Filippine è: “It’s more fun in the Philippines” (Nelle Filippine è più divertente).
Sono un popolo ospitale, gentile, rispettoso e adorabile che trasmette nei piccoli gesti quotidiani un simpatico mix di tradizioni asiatiche con le mode e gli stereotipi occidentali.

Ballerini filippini in costume

Ballerini filippini in costume

Lungo le strade di Manila però anche questi sorrisi diventano parte della confusione generale. Ogni immagine di rilassatezza, pace e meditazione orientale viene letteralmente investita o schiacciata sotto le ruote di migliaia di mezzi che come vespe impazzite sfrecciano in un delirante turbinio di rumori, clacson, urla e nuvole di smog.
Puoi cercare di trovare ristoro e tranquillità da questo caos infernale solo estraniandoti per qualche istante tra le bancarelle di cibo di strada che vendono a prezzi ridicoli frutta o succo di cocco (buko), pannocchie di granturco arrostite o zuppe di noodles take away per le quali vanno letteralmente matti.
Perché come ti rimetti in cammino ecco che lo sciame motorizzato rapisce di nuovo completamente tutti i tuoi sensi e percezioni.

A Manila ci si muove su qualsiasi cosa. Per cominciare ovviamente su ogni tipo di auto, taxi e mototaxi che sia dotato di un motore e quattro ruote (a volte neanche quelle), continuando poi con moto e motorini di ogni genere (sui quali generalmente si viaggia in più di tre persone), sidecar e biciclette, e con gli autobus dove monti e scendi ovviamente in mezzo al traffico.

Ma il mezzo motorizzato che più colpisce la mia attenzione è il jeepney, considerato il principale mezzo di trasporto pubblico urbano di questo Paese asiatico che tanto adora seguire i modelli americani.
Trae la sua origine dalle jeep, i veicoli militari utilizzati dalle forze armate statunitensi durante la seconda guerra mondiale, che i soldati avrebbero donato agli abitanti una volta terminato il conflitto. Le decorazioni e colorazioni tipiche che li caratterizzano, insieme ai numerosi accessori aggiuntivi, li hanno resi un mezzo di trasporto unico, nonché un vero e proprio simbolo della cultura e della fantasia artistica filippina.
Possono essere chiamati allo stesso modo di un taxi, ovvero alzando la mano o agitando un braccio, e si possono trovare in parcheggi di sosta prestabiliti, spesso affiancati da una persona che ha lo scopo di convincere i passanti ad usufruire del servizio di trasporto. Una sorta di promoter, generalmente giovane e di bell’aspetto, che viene chiamata in gergo dispatcher, e che è pagato dal conducente stesso con una piccola somma di denaro che gli permette di sbarcare il lunario.
Le tratte di ogni jeepney sono dipinte sui lati o sotto il parabrezza, o vengono scritti su un apposito cartello svolazzante, ed il costo per una corsa è relativamente molto basso. La cosa più incredibile è che arrivano a trasportare anche più di 20 persone, ma questo è possibile considerando la statura e la costituzione fisica media dei filippini. Negli Stati Uniti o in Europa sarebbe impensabile poter raggiungere questo numero.
Sono gestiti tendenzialmente dai conducenti stessi, che si servono talvolta dell’aiuto di un conduttore denominato backride, il quale ha il compito di controllare il numero dei passeggeri e di raccogliere le tariffe per le varie tratte del percorso scelto.

Viaggiare su un jeepney fa parte della famosa “TO DO LIST” di Manila, ovvero la lista delle cose da fare assolutamente quando la si visita. E farlo con qualcuno di locale è ancora meglio, perché in questo modo si entra davvero nel vivo del gioco.

Jeepney sulle strade di Manila

Jeepney sulle strade di Manila

Ne prendo uno al volo insieme ad un amico e collega autoctono, che mi spiega subito le regole e le consuetudini che vengono applicate a bordo di questi stravaganti mezzi.
Prima regola fondamentale: vietato spingere.
Seconda regola, altrettanto rispettata e molto importante: vietato urlare, fare schiamazzi o parlare ad alta voce. La capacità massima dei sedili non è un limite troppo considerato, specialmente nelle ore di punta, e non di rado può capitare di vederne alcuni girare con passeggeri aggrappati alle maniglie esterne o addirittura seduti sul tetto. Quest’ultima usanza poco confortevole e abbastanza pericolosa è però illegale, e comunemente nota con il nome di sabit, che in tagalo, la lingua locale, significa “appendersi con la punta delle dita”.

E mentre il nostro jeepney si insinua nel traffico rifletto su quest’ultima metafora che con poche parole riassume quello che è il senso della vita per molti abitanti di questa città.
Una metropoli che in tanti dei suoi quartieri periferici è costituita da case dai muri marci combinati con calce, lamiere, amianto e pannelli di compensato. Come a Tondo, il suo quartiere popolare più povero ed esteso, dove più di 600 mila persone vivono in tuguri assemblati persino con ritagli di prato sintetico e segnali stradali.
Molte di queste persone conducono un’esistenza appendendosi ogni giorno con la punta delle dita a quel poco che la vita offre loro per sopravvivere, sperando che il loro destino non sbandi o la maniglia non si stacchi facendoli cadere sulla strada.

Anche in questi luoghi, che sono poi piccole tessere del grande puzzle che è questo Paese fatto di contrasti, il caos la fa da padrone e detta le sue regole. Ed è in questo modo che tutto si autoregola giorno per giorno senza una logica apparente. Le strade diventano davvero delle moderne giungle urbane dove si sopravvive e si combatte a colpi di clacson e urla, e le case sono spazi vitali confusi, promiscui, privi di ogni tipico confort al quale noi occidentali siamo abituati.
E dove il peggior nemico non è la povertà, ma l’emarginazione e l’invisibilità sociale. Quell’essere nulla che spesso è peggiore del non avere nulla.

Benvenuti tra le pagine del mio diario di viaggio!   

Potranno sembrarvi un po’ vintage in alcuni casi, e sicuramente troverete cose di cui parlo che sono cambiate nel tempo.
Ma ci sono luoghi, viaggi ed esperienze che mi piace ricordare così.
Buona lettura!

Francesco Lasciate un commento, ditemi se siete già stati in questo bellissimo Paese e cosa ne pensate.

 

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